Configno (RI), il museo che ha resistito al terremoto

L’orologio di una abitazione segna ancora le 3.36. È fermo dalla notte del 24 agosto 2016, quando una forte scossa di terremoto sconvolse il centro Italia. Amatrice e le sue frazioni furono in gran parte distrutte.

Tra queste, anche Configno, dove la maggior parte degli edifici sono stati dichiarati inagibili. Nonostante siano ancora evidenti i segni lasciati dal sisma, ci sono anche quelli lasciati dalle persone che con tenacia e passione continuano a impegnarsi per il bene del territorio. Persone come Dario Salvi, fondatore, circa cinque anni fa, del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, e di Carmela Crispino, prezioso aiuto nella gestione della struttura.

Il museo contiene una ricca raccolta di oggetti tipici del centro Italia: conserva, infatti, materiali che documentano la storia della comunità locale e il suo rapporto con il territorio, con diverse collezioni di temi legati all’agricoltura, alle attività artigianali, al mondo domestico e all’arredo scolastico. Un angolo è dedicato anche alle origini degli spaghetti all’amatriciana1. «Il museo è nato grazie alla mia grande passione, anzi, potrei dire a una vera e propria mania, per monete, bilance, utensili da lavoro e per tutto ciò che è legato alle tradizioni e al territorio e che sta scomparendo» spiega Salvi.

Il museo – aperto anche grazie all’iniziativa del nipote – si trova nel fabbricato delle ex-scuderie di Configno ed è diviso per tematiche. A dare il benvenuto ai visitatori alcune colorate creazioni di carta realizzate da un’artista del posto, Giuliana. La prima parte è dedicata all’agricoltura, per poi proseguire con oggetti legati al settore musicale, ai mestieri di una volta, alla caccia e agli ambienti della casa, come la cucina e la camera da letto. E ancora, l’osteria e una parte dedicata alla tessitura con antichi strumenti per realizzare coperte e non solo.

«All’inizio nessuno credeva in questo museo. L’ho realizzato con oggetti che io stesso avevo recuperato dalle case del paese di Configno e da alcuni mercatini – continua Salvi – L’importante per me era trovare cose che raccontassero la vita passata del centro Italia. Trascorso un po’ di tempo dall’apertura, in tanti sono venuti a fare donazioni di cose che avevano ritrovato nelle proprie abitazioni, nei garage o nelle cantine».

Tra i tanti oggetti che si incontrano visitando il museo, lu trucchiu, che si metteva sopra la testa per portare la brocca dell’acqua, le ciaramelle, la zampogna, ma anche oggetti di uso quotidiano per aggiustare le cose. «Tutti avevano un piccolo laboratorio o una cantina. Non ci si poteva permettere di andare dal fabbro» spiega Salvi, che mostra anche una sua collezione privata oggi esposta al museo, quella dei raschietti per pulire l’”arca” o la madia dove si impastava il pane.

Al secondo piano del museo è collocata anche un’aula scolastica della prima metà del Novecento del secolo scorso. «I banchi sono stati riprodotti fedelmente, gli originali purtroppo sono andati persi, ma grazie ad artigiani locali e a vecchie fotografie siamo riusciti a ricostruire quelli che c’erano una volta – racconta Salvi – Mentre tutto il resto è originale». Nell’aula, sopra una pedana e accanto alla lavagna in ardesia, è posta la cattedra con gli oggetti della maestra e del maestro, come il pennino, il calamaio, la bacchetta e un piccolo mappamondo. Alle pareti ci sono le cartine geografiche e sugli scaffali libri di scuola e diplomi, della prima metà del Novecento del secolo scorso. Sono esposte anche diverse cartelle e altri oggetti, come i gessetti e la colla Coccoina.

«Nella scuola di Configno c’era una pluriclasse, i bambini e le bambine dalla prima alla quinta andavano tutti insieme – ricorda Salvi, sottolineando che anche lui ha frequentato la pluriclasse del paese – Gli studenti di quarta e quinta venivano sistemati negli ultimi banchi, mentre i più piccoli davanti». Tra i ricordi di Salvi, quello delle punizioni: «A Configno ci fu anche il cappello del somaro, ma un giorno un padre si ribellò e andò a protestare dalla maestra che aveva fatto indossare il cappello al figlio e l’aveva mandato in giro per il paese con tutti i compagni dietro che lo seguivano. Questa punizione è stata adottata qui fino agli anni Cinquanta. Ma non c’era solo questa, si usavano anche i ceci, il granturco o il sale grosso su cui dovevi inginocchiarti se ti comportavi male. Oppure ricordo il maestro che menava con le mani ghiacciate in inverno. Che male!».

Questi ricordi oggi sono ancora più preziosi in quanto raccontano di un luogo che è inevitabilmente cambiato in seguito al sisma. A questo museo spetta ora l’importante compito di mantenere viva la memoria e di restituire quello che è stato il territorio. 

Per informazioni o per visite al museo  è possibile contattare Dario Salvi al 347 4528458. 

Sito web: http://www.museoconfigno-oasiorieterme.it/ .

Si ringraziano Carmela Crispino e Dario Salvi per la disponibilità e l’accoglienza. 

(1) Dal sito http://www.museoconfigno-oasiorieterme.it/ (ultimo accesso: 17 giugno 2019). 

 

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